Il sartù di riso

Notizie storiche

Il nome sartù, probabilmente, deriva dall’espressione francese “sor tout” che si potrebbe tradurre in “copri tutto” e indicava gernicamente il soprabito. Nel XVIII secolo il timballo di riso era preparato dai cuochi francesi che lavoravano presso le famiglie nobili napoletane (i “monsù” o “monzù”, dal francese “monsieur”) introdotti a Napoli al seguito della regina Maria Carolina d’Austria.

La ricetta fu ideata dai cuochi francesi come sorta di “camuffamento”, per rendere più gustoso il riso che i napoletani non gradivano a causa della mancanza di sapore, lo chiamavano, infatti, “sciacquapanza”.

Ricetta sartù rosso

Mettere in un recipiente coperto 450 di riso crudo e 900 ml di ragù diluito con acqua. Fare cuocere senza aprire e senza mescolare. Lasciar raffreddare e aggiungere due uova intere ed un rosso, un po’ di prezzemolo e, se necessario, sale. Ungere ed impanare uno stampo dal diametro di circa 20 cm e versare tre quarti del riso, lasciando un buco al centro in cui mettere poi l’imbottitura costituita da 150 gr di mozzarella, 2 uova sode in pezzi, 150 gr di prosciutto, 2 fegatini e 50 gr di pancetta prima rosolati in un po’ di cipolla e poi ripassati nel ragù. Ricoprire con il resto del riso, comprimere leggermente e spolverare di pangrattato. Cuocere in forno caldo per circa un’ora. Lasciar raffreddare una decina di minuti e poi sformare. Facoltativo l’accompagnamento con salsa di ragù.

Ricetta sartù bianco

Cuocere 20 gr di funghi secchi dopo averli preventivamente messi in ammollo. Friggere delle polpettine preparate con 150 gr di carne macinata, 50 gr di pane raffermo ammollato in acqua e quindi strizzato, mezzo uovo, un cucchiaio di parmigiano, sale e pepe. Preparate 150 gr di piselli cuocendoli in casseruola con un soffritto di cipolla, 75 gr di prosciutto crudo ed un po’ di vino, aggiungendovi, se piace, due cucchiaini di concentrato di pomodoro e, dopo un quarto d’ora, due cucchiai rasi di farina mescolati con 75 gr di burro. Allungare con l’acqua di ammollo dei funghi e cuocere ancora per 15 minuti prima di aggiungere le polpettine e due fegatini di pollo. Spegnere dopo 5 minuti. Cuocere per 15 minuti 450 gr di riso in 900 ml di acqua e 100 gr di sugna in un recipiente coperto senza aprire né mescolare. Fare intiepidire il riso, aggiungere due uova intere, prezzemolo e 100 gr di parmigiano grattugiato, controllare il sale.

Riferimenti letterari

Vincenzo Corrado, cuoco e filosofo, ne “Il cuoco galante”, pubblicato nel 1793, codificò il suo sartù:

«Cotto il riso con brodo, e poi freddato, si legherà con parmegiano grattugiato, gialli di uova, e qualche chiara, e se ne formerà una pasta, la quale tirata come una grossa sfoglia, entro una casseruola unta di strutto, e polverata di pan grattato; per ripieno di essa vi si metterà un ragù di animelle, condito con tartufi, prugnoli, ed erbe aromatiche; si coprirà con la sudetta pasta di riso, e si farà cuocere al forno. Cotto si servirà caldo il Sortù».

Anche Ippolito Cavalcanti, nel 1837, nel trattato “Cucina teorico-pratica” descrisse la sua ricetta:

«Prendi un rotolo e mezzo di riso, ma che sia di quello forte, lo lesserai nel brodo chiaro, e in mancanza anche nell’acqua, sia pure per economia, perché vale lo stesso. Quando il riso sarà cotto, ma non scotto, ci porrai un terzo, ossia once undici di permeggiano o caciocavallo, e un pane di butiro (purchè non l’avrai cotto nel brodo), ci farai un battuto di dodici ovi, e mescolerai tutto ben bene: indi farai raffreddare questa composizione e poscia prenderai la casseruola proporzionata per formare il sartù, facendoci una inverniciata di strutto con una uguale impellicciata di pan gratto. Poscia ci porrai la mettà del riso già intiepidito e con una mescola leggiermente lo adatterai facendoci un concavo nel mezzo, ove porrai il solito raguncino che più volte ti ho detto per i timpani: al di sopra ci porrai l’altra mettà del riso e con le mani l’accomoderai in modo che vada tutto bene incassato, faacendoci al di sopra una ingranita di pan gratto con de’ pezzettini di strutto. Gli darai la cottura come al timpano con la pasta, versandoci uno o due coppini di sugo, cioè a pummarola».

Eduardo De Filippo in “Si cucina cumme vogl’i”, un poemetto gastronomico che Eduardo scrisse negli anni Sessanta e pubblicato dalla moglie Isabella, narrò la ricetta:

«Nu sartù turzuto e àveto,

ova toste e purpettine,

cu ‘e pesielle e chin’ ‘e provola,

parmigiano e fegatine,

zuco ‘e carne e a ffuoco lento

fin ‘a quanno ll’ ‘e cuociuto;

quann’è cuotto o sta a mumento,

n’avvampata e ll’ ‘arrussuto.

Se po’ fa cu ll’uovo, in bianco,

parmigiano e muzzarella,

e pesielle, ‘a murtadella…

E se po’ te vuo’ spassà,

nce puo’ mettere ‘o tartufo

o na vranca ‘e fungetielle,

chill’’ e chiuppe e chiuvetielle:

rrobb’ ‘e Napule, gnorsì».

Fonti bibliografiche e sitografiche

Luciano Pignataro, La cucina napoletana, Milano 2016.

Jeanne Caròla Francesconi, La cucina napoletana, Napoli 1965.

www.lucianopignataro.it

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