La pizza

Notizie storiche

L’usanza di cuocere un lembo di pasta ottenuto dalla miscela di acqua e farina ha origini remote individuate nel Medio Oriente. Grazie alla scoperta del lievito da parte degli antichi Egizi, fu possibile realizzare impasti lievitati più morbidi e leggeri. Gli etruschi prima, i greci e i romani poi, erano soliti preparare una sorta di focaccia rotonda cotta sul focolare, al calore della cenere. Nel VII con l’arrivo dei Longobardi nella penisola italiana, il pezzo di pane assunse in nome di “bizzo”, “morso”.

Il termine pizza compare nei documenti storici per la prima volta verso l’anno Mille. Come in uno datato 1195 e redatto a Penne, in Abruzzo. Nei documenti redatti dalla Curia Romana nel XIV secolo, si fa riferimento a tipici prodotti da forno chiamati “pizis” e “pissas”.

Nella “Descrizione dei luoghi antichi di Napoli”, Benedetto Di Falco scrisse che nel XVI secolo la «focaccia, in Napoletano è detta pizza».

Nel XVIII secolo, come racconta Vincenzo Corrado in un trattato sulle abitudini alimentari dei napoletani, la pizza era preparata in piccoli locali con forni a legna e venduta nelle strade da un ragazzo di bottega che portava piccoli contenitori di rame dotati di doppio fondo nel quale inserire la brace per tenere al caldo il prodotto. In un documento ritrovato dallo storico napoletano Giuseppe Galasso si parla di sessantotto pizzaioli a Napoli nel 1807, questa testimonianza storica attesta il consolidarsi di una vera e propria professione. La pietanza era consumata da tutti, anche dai nobili, Ferdinando IV commissionò al figlio di Antonio Testa, proprietario di una trattoria, la costruzione di un forno per pizze nella Reggia di Capodimonte.

La prima ricetta della pizza, come la conosciamo oggi, è riportata da Francesco De Bourcard in “Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti”, pubblicata nel 1853; l’autore specifica che, per i condimenti, si può usare «quel che vi viene in testa».

Secondo la tradizione il pizzaiolo Raffaele Esposito creò la pizza Margherita in onore della regina Margherita di Savoia – a cui il piatto deve il nome – in visita nella città di Napoli nel 1889. Il rosso del pomodoro, il bianco della mozzarella e il verde del basilico evocavano la bandiera italiana.

La ricetta della pizza napoletana si diffuse in Italia, e poi nel resto del mondo, subendo numerose e significative modifiche. Matilde Serao nel romanzo “Il ventre di Napoli” del 1884, racconta che

«Un giorno, un industriale napoletano ebbe un’idea. Sapendo che la pizza è una delle adorazioni culinarie napoletane, sapendo che la colonia napoletana in Roma è larghissima, pensò di aprire una pizzeria in Roma. Il rame delle casseruole e dei ruoti vi luccicava; il forno vi ardeva sempre; tutte le pizze vi si trovavano: pizza al pomidoro, pizza con muzzarella e formaggio, pizza con alici e olio, pizza con olio, origano e aglio. Sulle prime la folla vi accorse: poi, andò scemando. La pizza, tolta al suo ambiente napoletano, pareva una stonatura e rappresentava una indigestione; il suo astro impallidì e tramontò, in Roma; pianta esotica, morì in questa solennità romana».

Le prime pizzerie furono aperte a Napoli nel corso del XIX secolo per poi diffondersi ovunque. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la ricetta fu esportata in tutta Italia; in particolar modo, con il boom industriale, numerosi emigranti si spostarono con le loro famiglie nel triangolo Milano, Torino e Genova portando con sé le tradizioni culinarie. Alcuni meridionali avviarono la produzione di pizze in tutto il Paese. A partire dagli anni Cinquanta, nel giro di poco tempo, le pizzerie si diffusero in America e poi tutti i continenti.

La pizza napoletana verace è stata riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale campano dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali in seguito alla proposta della Regione Campania.
Nel 2010 la pizza è stata certificata come Specialità tradizionale garantita della Comunità Europea.

Nel 2017 il Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco ha riconosciuto “L’Arte tradizionale dei pizzaiuoli napoletani” parte del patrimonio culturale dell’umanità.

Ricetta

La pizza non è una preparazione domestica perché la cottura dell’impasto a base di farina, sale, acqua e lievito può essere fatta solo nei forni a legna professionali.

Varianti

Diffusa e apprezzata in tutto il mondo, sono molto numerose le varianti che prevedono l’uso di ingredienti e ricette differenti, sia per l’impasto, sia per il condimento.

Grazie alla sua versatilità, la pizza può essere condita con qualsiasi ingrediente, salato o anche dolce. Le variazioni della tradizionale Margherita adottano l’uso di mozzarella di bufala al posto del fiordilatte oppure pomodorini freschi tagliati a pezzi in aggiunta o in sostituzione del pomodoro pelato.

Attualmente è sempre più diffusa la pizza gourmet, preparata con ingredienti di altissima qualità e lunga lievitazione.

Riferimenti letterari

La nascita della pizza, come la conosciamo oggi, è riconducibile alla metà del XVIII secolo, Vincenzo Corrado, in un trattato sulle abitudini alimentari della città di Napoli, scrisse che in quel periodo il popolo napoletano usava condire la pizza ed i maccheroni con il pomodoro.

Da allora si diffuse ampiamente fino a divenire uno dei capisaldi della cultura napoletana, e italiana, e catturò l’attenzione di numerosi scrittori.

Nel 1861 Marc Monnier in un articolo su Napoli e i napoletani scrisse: «Il pizzaiolo prepara in pubblico la sua cucina appetitosa: enormi pizze, ben spesse e ben condite di ingredienti che mi è difficile enumerare perché variano a seconda delle stagioni e dell’estro del cuciniere pieno di fantasia». Nell’articolo lo scrittore francese scrisse anche cosa si beveva all’epoca con la pizza: «Ciò che si mangia lo si annaffia con bevande non meno complesse delle stesse pizze: queste bevande, i cui nomi mandano in estasi gli stranieri, si chiamano Falerno, Lacryma Christi, Marsala ecc…».

Alexandre Dumas fu a Napoli e ne Il corricolo, del 1841, scrisse dell’usanza dei napoletani di mangiare pizze arricchite con varie guarnizioni, olio, lardo, pomodori, pesce, a seconda della propria disponibilità economica.

Matilde Serao inserì nel suo romanzo Il ventre di Napoli (1884) la pizza tra gli alimenti che «che costano un soldo» e ne descrisse la preparazione e le modalità di vendita:

«Il pizzaiuolo che ha bottega, nella notte, fa un gran numero di queste schiacciate rotonde, di una pasta densa, che si brucia, ma non si cuoce, cariche di pomidoro quasi crudo, di aglio, di pepe, di origano: queste pizze in tanti settori da un soldo, sono affidate a un garzone, che le va a vendere in qualche angolo di strada, sovra un banchetto ambulante e lì resta quasi tutto il giorno […]. Vi sono anche delle fette di due centesimi, pei bimbi che vanno a scuola; quando la provvista è finita, il pizzaiuolo la rifornisce, sino a notte. Vi sono anche, per la notte, dei garzoni che portano sulla testa un grande scudo convesso di stagno, entro cui stanno queste fette di pizza e girano pei vicoli e dànno un grido speciale, dicendo che la pizza ce l’hanno col pomidoro e con l’aglio, con la muzzarella e con le alici salate. Le povere donne sedute sullo scalino del basso, ne comprano e cenano, cioè pranzano, con questo soldo di pizza».


Nel “Dizionario Moderno” edito nel 1905, Alfredo Panzini inserì la parola pizza: «Pizza: nome volgare di una vivanda napoletana popolarissima. Consiste in una specie di sfoglia o stiacciata di farina lievitata moltissimo. Cosparsa di pomidoro, formaggio fresco, alici ecc., a piacimento del cliente».

La pietanza è stata citata e celebrata da numerosi musicisti e cantanti.

Il testo della canzone “A pizza c’a pummarola”, scritta da Riccardo Pazzagli e cantata da Domenico Modugno nel 1958, celebra la pizza come «nu stemm comunal» e «’na gloria nazional».

Nel 1966, al Festival Della Canzone Napoletana, Aurelio Fierro intonava una delle più famose canzoni napoletane:

«‘a pizza, ‘a pizza…
cu ‘a pummarola ‘ncoppa,
cu ‘a pummarola ‘ncoppa,
Ma tu vulive ‘a pizza,
‘a pizza, ‘a pizza,
cu ‘a pummarola ‘ncoppa…
‘a pizza e niente cchiù!».

Fonti bibliografiche e sitografiche

Associazione Verace Pizza Napoletana, Disciplinare internazionale per l’ottenimento del marchio collettivo “verace pizza napoletana”, 1984.

Luciano Pignataro, La pizza: una storia contemporanea, Milano 2018.

www.expo2015.org

www.ricettapizzanapoletana.it

www.unesco.it

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